Problematiche dell'età evolutiva adolescenziale e giovani adulti
L’adolescenza (13-18 anni) si configura come una fase della vita complessa, sfaccettata ed eterogenea, caratterizzata da importanti cambiamenti e acquisizioni cognitive, affettive e socio-relazionali; è considerata una particolare fase evolutiva di crescita e sviluppo in quanto rappresenta la difficile e travagliata transizione e passaggio dall’età dell’infanzia all’età adulta. L’adolescente si ritrova infatti a non essere più un bambino ma allo stesso tempo non è ancora adulto, all’interno di un percorso di crescita e maturazione che vede come elementi essenziali la ricerca di sé e della propria identità e autonomia, e le trasformazioni delle proprie dinamiche e dimensioni corporee, familiari, sociali e affetivo-relazionali.
Quando un ragazzo o una ragazza entrano nella fase dell’adolescenza, gli stessi e le loro famiglie entrano in una condizione di rapido e intenso cambiamento. In primo luogo, il primo a modificarsi è il corpo: l’adolescente si sente, si vede e si sperimenta fisicamente diverso, arriva la pubertà che impone l’evidenza dello sviluppo sessuale in modo tumultuoso e poco controllabile. Il cambiamento del corpo impone inoltre una trasformazione globale, mettendo in atto un lento e complesso processo che coinvolge sia l’immagine e la rappresentazione di sé, che le relazioni con le persone emotivamente significative. Cambia il pensiero e l’assetto psicologico, legato alla maturazione ormonale e neuronale; cambia la percezione di sé stessi, ci si confronta con ciò che si vorrebbe essere, cambia la visione del mondo circostante e ci si interroga sul futuro. Questo continuo e spesso disorganizzato processo di ristrutturazione comporta delle oscillazioni tra spinte progressive e regressive, tra momenti e sentimenti di entusiasmo ed euforia ed altri di insicurezza e incertezza. A cambiare sono anche gli interessi, le motivazioni, le relazioni, le attività, con l’emergere di comportamenti che spesso hanno una comune caratteristica: sono diversi, spesso polemicamente contrapposti a quelli della famiglia e del mondo adulto. Cambia quindi l’identità, il modo di essere sul piano del comportamento, dei modelli di riferimento e dei valori: l’adolescente vuole fare di testa sua. Con il mutamento dell’identità si modifica profondamente anche il rapporto di necessaria, ma conflittuale dipendenza che l’adolescente ha con il mondo degli adulti: con i genitori in primo luogo, ma anche con gli insegnanti e altre figure; figure da cui i ragazzi dipendono, economicamente, psicologicamente, affettivamente, a cui chiedono e si rivolgono, ma a cui si ribellano anche, in quanto proprio l’adolescenza è un periodo nodale in cui il soggetto pone le basi per il fondamento della sua esistenza psicologica e sociale in maniera sempre più autonoma. L’adolescente si colloca di fronte alle figure adulte di riferimento ponendo la duplice necessità di essere rispettato come soggetto che sta diventando autonomo, e quindi ascoltato, informato e coinvolto, ma anche necessariamente guidato e sostenuto in decisioni importanti. Mutamenti di identità, tensione fra autonomia e dipendenza, bisogno di mettersi alla prova, non raramente anche con l’assunzione di rischi, fanno dell’adolescenza un’età che è stata definita una sorta di “fisiologica patologia”, di disregolazione e disarmonia, entro certi limiti sana e necessaria.
Successivamente, gli anni dell’università segnano un graduale passaggio dalla fase finale dell’adolescenza alla fascia d’età dei giovani adulti (18-25 anni). Tale periodo evolutivo contiene in sé sia la possibilità di un elevato grado di differenziazione e di individuazione della personalità, sia un maggiore rischio di sviluppi disfunzionali che molto spesso assumono l’aspetto di una difficoltà ad uscire da questa lunga fase post-adolescenziale. La prima età adulta può diventare una sorta di interminabile e faticoso passaggio durante il quale il giovane rischia di perdersi in percorsi tortuosi che fanno insorgere in lui l’angoscia di rimanere “bloccato” e di “perdersi”.
Potenzialmente, uno dei vantaggi di questa fase di transizione risiede nella maggior possibilità di scelte di vita e in una maggior libertà e indipendenza, capacità di autodeterminazione e di orientamento rispetto alla realtà; tuttavia, è frequente che questi giovani adulti possano vivere la responsabilità delle proprie scelte e azioni con vissuti di ansia e angoscia, quando non capiscono come poter integrare al meglio le loro necessità interiori con gli obblighi e le rinunce che il contesto sociale gli pone di fronte. Questo è infatti un periodo della vita caratterizzato da un intenso bisogno di conoscenza di sé e di autoriflessione, così come del bisogno di essere compreso, piuttosto che osservato e studiato.
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Domande Frequenti
Durante il primo colloquio, lo psicologo si presenta e fornisce le informazioni relative alla propria metodologia di lavoro, chiede informazioni relativamente alle problematiche che hanno portato la persona a richiedere un aiuto, ed insieme vengono concordati gli obiettivi e le modalità e tempistiche del trattamento.
Verranno raccolte informazioni rispetto allo specifico disagio, al contesto di vita, la storia personale e la motivazione ad avviare un percorso.
La principale finalità dei primi colloqui sarà quella di una reciproca conoscenza volta alla costruzione di un rapporto di alleanza e fiducia.
Lo psicologo è tenuto al Segreto Professionale, secondo i relativi articoli (11, 12, 13, 14, 15, 16, 17) del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, pertanto tutte le comunicazioni tra psicologo e paziente rimangono riservate e protette dalla legge. Le uniche eccezioni riguardano, come in qualsiasi altro settore professionale, eventuali minacce di pericolo per te o per altre persone.
Per i minori di 18 anni è necessario il consenso informato di entrambi i genitori o dei tutori (art.31 del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani).
Nel lavoro con i minori, in base alla valutazione del caso, è inoltre altamente auspicabile una collaborazione con la coppia genitoriale o eventualmente con l’intero nucleo familiare.
È possibile interrompere il trattamento in qualsiasi momento, è comunque consigliato discuterne prima insieme allo psicologo, al fine di individuare insieme le motivazioni e le modalità di conclusione.